Il mondo si ramifica in una così estesa moltitudine di sfaccettature da darne un’interpretazione differente ad ogni occhio che osserva. Si potrebbe dire che esso ha tante interpretazione quante sono le persone, gli individui, gli “io” pensanti. Proprio per questo motivo la Filosofia (storicamente considerata) non è stata innalzata al rango di scienza, poiché diversa ad ogni pulpito. Vi sono tante di quelle correnti di pensiero che elencarle sarebbe eccessivamente espansivo, non tenerne conto sarebbe semplicisticamente riduttivo, prenderne in considerazione solo alcune sarebbe inevitabilmente di parte.
Il Tutto (che posso chiamare anche mondo), si basa essenzialmente su tre oggetti, tre punti d’interesse, e ciò è inevitabile; ogni oggetto, od elemento, ha due visioni, una interna ed una esterna. Vi è per ogni elemento una visione interna (una scienza), ed una essenzialmente esterna (una credenza, o potremmo dir meglio, una “filosofia”). I tre elementi ai quali faccio riferimento sono Dio, la Natura, e l’Uomo.
Dio viene considerato come l’oggetto di ricerca più diffuso tra i filosofi, vedendo in Lui la verità, l’Essere, la vita, l’Amore, in sintesi il principio del Tutto. Religiosi e non, vedono (o hanno visto) in Dio la massima rappresentazione del mondo, sia esso personificato, sia Esso essere inconsistente, astratto, o puramente concettuale, il più delle volte attribuibile all’Universo, al tutto generico, al pensiero umano generale, alla natura. La visione interna, scientifica, di Dio, non può che essere la teologia: lo studio dettagliato ed analitico del fenomeno divino, le sue caratteristiche, le peculiarità. La visione esterna invece è la fede, il credo, la religione, quella credenza che varia di popolo in popolo, quel prospetto mutevole di un'unica entità che è Dio. Alla religione ci si può credere o meno, abbracciarne una, un’altra, o nessuna, tollerarla, apprezzarla, disprezzarla, rifiutarla. La differenza tra visione interna e visione esterna sta quindi nel rapporto che si ha con l’uomo (l’io pensante), d’inamovibilità dell’una (Teologia, che c’è e non può non esserci, necessaria ed ineliminabile), e rifiutabilità dell’altra (Religione, credo, fede, che si sostanzia solo nella fiducia, nell’atto del credere, senza basi tangibili e fisiche (se non i miracoli), e consistente nel concepire Dio come principio e fine del Tutto, ordine superiore, coincidente con esso: opinabile, e ne è dimostrazione la moltitudine di religioni sparse per il mondo, assieme alle terribili guerre religiose).
L’elemento “Dio”, per tale trattazione, fa riferimento a ciò che Fichte aveva illustrato su i due possibili sistemi filosofici (quindi visioni esterne), del dogmatismo e dell’idealismo. Nella “Prima introduzione alla dottrina della scienza” (1797), Johann Fichte affermò che idealismo e dogmatismo sono gli unici due sistemi filosofici possibili: la scelta del filosofo consta nel sacrificare l’autonomia dell’io a quella della cosa, scegliendo come sistema il dogmatismo, o viceversa se la scelta cade sull’idealismo. La spiegazione sta nel fatto che l’idealismo consiste nel partire dall’io pensante, o soggetto, per poi spiegare, su questa base, la cosa od oggetto; viceversa il dogmatismo consiste nel partire dalla cosa in sé (Dio), od oggetto, per poi spiegare su questa base, l’io pensante o soggetto.
L’imperfezione di Fichte sta nell’unificare in un unico senso il concetto di cosa (oggetto, sostanza, materia, natura) e di cosa in sé (Dio). Da Kant ereditiamo le definizioni di fenomeno e noumeno, dove il fenomeno è ciò che è presente all’interno delle coordinate spazio-temporali, a cui sono applicabili le scienze matematiche e fisiche e le dodici categorie; il noumeno è ciò che si trova al di fuori di tali coordinate, che è semplicemente pensabile, ma non conoscibile poiché non presente nel palcoscenico fenomenico dove la coscienza dell’io-penso fa da spettatrice. E dal momento in cui nel fenomenico agisce l’oggetto o la cosa, e nel noumenico agisce Dio o la cosa in sé, non è permissibile confondere palcoscenico con il “dietro-le-quinte”, materia sensibile con idea pensabile, oggetto con concetto, sostanza e Dio.
Lo stesso Fichte si accorge che questa interpretazione non soddisfa pienamente, non attribuendo a nessuno di questi due sistemi la capacità di confutare l’altro sistema, in quanto non si può fare a meno di presupporre, fin dall’inizio, il valore del proprio principio (l’io o la cosa in sé).
Questa confusione di Fichte è riscontrabile anche nella sua dottrina morale, in cui andando a sostituire alla “postulazione kantiana di un Dio al fine morale” un non-io come ostacolo da superare, facendosi forte dell’insegnamento del filosofo di Konigsberg, il quale asseriva che non c’è attività morale laddove non ci sia una sforzo (streben); e non c’è uno sforzo laddove non ci sia un ostacolo da vincere. Tale ostacolo è quindi per Fichte il non-io, nell’accezione materiale tralasciando il divino. Una tesi più accettabile ma non del tutto corretta sarebbe quella di rinchiudere nel non-io tutto ciò che non sia io, quindi Natura e Dio (anche se Fichte era ateo).
Il sistema filosofico del dogmatismo comprende anche il platonismo, ogni forma di religione monoteista, etc; quindi all’elemento “Dio” non può che aggiungersi il “mondo delle idee” platonico, o il “noumeno” di Kant, il paradiso, il creazionismo, il Dio cristiano, Jahvè, Elohim, Eloha, JHWH, Geova, Jahweh, Adonai, etc.
Dio, come elemento della articolazione triadica hegeliana è energia pura, idea, concetto, logica, ragione, razionalità reale, che confluisce nel mondo (la Natura) e nello spirito (L’Uomo) come un alito di vita.
Il secondo elemento della trattazione è la Natura: ha la sua “visione interna”, una sua scienza precisa articolata in ogni aspetto e modo, dalla fisica alla matematica, dalla medicina alla biologia, dalla scienze della terra all’astronomia, in sintesi le Scienze con la “s” maiuscola. La “visione esterna”, quella che vuole attribuire alla Natura una forza creatrice a se per l’esistenza dell’uomo ed indirettamente di Dio, è il naturalismo spinoziano. Non può che aggiungersi ad esso il materialismo, il meccanicismo, l’evoluzionismo, l’illuminismo, e tutti quei pensieri “illuminati” che vedono nella natura il principio e la fine di tutto, la fragilità dell’uomo, ed il suo rinchiudersi nella religione come riparo e rifugio.
L’elemento “Dio”, per tale trattazione, fa riferimento a ciò che Schelling aveva illustrato su i due possibili sistemi filosofici (quindi visioni esterne), del naturalismo spinoziano e dell’idealismo fichtiano: il naturalismo spinoziano, che è diretto a mostrare come la natura si risolva nello spirito; l’altro, l’idealismo fichtiano, diretto a mostrare come lo spirito si risolva nella natura.
Più cauto di Fichte, Schelling si accorge già da subito che una pura attività soggettiva (l’io di Fichte) non potrebbe spiegare la nascita del mondo naturale, e che un principio puramente oggettivo (la sostanza Spinoziana) non riuscirebbe a spiegare l’origine dell’intelligenza e dell’io.
Schelling giunge alla conclusione che il principio supremo dev’essere quindi un assoluto o Dio che sia insieme soggetto e oggetto, ragione e natura; ciò che sia l’unità, l’identità o l’indifferenza di entrambi, aggiungendo che l’io o lo spirito è la stessa natura conscia, e viceversa la natura non è che lo spirito inconscio.
Esiste quindi un “anima del mondo” che è la stessa “intelligenza auto creatrice” che nella natura si manifesta come conato fallito di una riflessione a se medesima, e che nell’uomo invece dopo un “odissea” dello spirito torna presso di sé.
Qui sorge lo stesso problema strutturale che era sorto per Fichte, poiché a differenza del primo riconosce che l’io non può spiegare la cosa, e viceversa, ma pone soggetto ed oggetto identici nel concetto di Assoluto o Dio, quindi supponendo un dogmatismo di base.
A questo punto come viene identificata “l’intelligenza auto-creatrice”o Assoluto o Dio? O per meglio dire, abilmente elusa dal filosofo, la cosa in sé?
Poiché dicendo che se tutto consta nell’io si parla di idealismo in senso stretto o Fichtiano, se tutto consta nella cosa si parla di naturalismo spinoziano, e se tutto consta in un Assoluto o Dio si parla di dogmatismo.
Mettendo momentaneamente da parte la risoluzione della natura nello spirito, e dello spirito nella natura, mossa da Schelling, ci troviamo davanti a tre sistemi filosofici: uno in comune tra Fichte e Schelling (l’idealismo in senso stretto), uno enunciato da Spinoza e ripreso da Schelling (naturalismo), ed uno intuito da Fichte ma che meglio si rifà a filosofie classiche greche e medievali cristiane (platonismo e dogmatismo).