domenica 16 gennaio 2011

Il Tutto

Il mondo si ramifica in una così estesa moltitudine di sfaccettature da darne un’interpretazione differente ad ogni occhio che osserva. Si potrebbe dire che esso ha tante interpretazione quante sono le persone, gli individui, gli “io” pensanti. Proprio per questo motivo la Filosofia (storicamente considerata) non è stata innalzata al rango di scienza, poiché diversa ad ogni pulpito. Vi sono tante di quelle correnti di pensiero che elencarle sarebbe eccessivamente espansivo, non tenerne conto sarebbe semplicisticamente riduttivo, prenderne in considerazione solo alcune sarebbe inevitabilmente di parte.
Il Tutto (che posso chiamare anche mondo), si basa essenzialmente su tre oggetti, tre punti d’interesse, e ciò è inevitabile; ogni oggetto, od elemento, ha due visioni, una interna ed una esterna. Vi è per ogni elemento una visione interna (una scienza), ed una essenzialmente esterna (una credenza, o potremmo dir meglio, una “filosofia”). I tre elementi ai quali faccio riferimento sono Dio, la Natura, e l’Uomo.
Dio viene considerato come l’oggetto di ricerca più diffuso tra i filosofi, vedendo in Lui la verità, l’Essere, la vita, l’Amore, in sintesi il principio del Tutto. Religiosi e non, vedono (o hanno visto) in Dio la massima rappresentazione del mondo, sia esso personificato, sia Esso essere inconsistente, astratto, o puramente concettuale, il più delle volte attribuibile all’Universo, al tutto generico, al pensiero umano generale, alla natura. La visione interna, scientifica, di Dio, non può che essere la teologia: lo studio dettagliato ed analitico del fenomeno divino, le sue caratteristiche, le peculiarità. La visione esterna invece è la fede, il credo, la religione, quella credenza che varia di popolo in popolo, quel prospetto mutevole di un'unica entità che è Dio. Alla religione ci si può credere o meno, abbracciarne una, un’altra, o nessuna, tollerarla, apprezzarla, disprezzarla, rifiutarla. La differenza tra visione interna e visione esterna sta quindi nel rapporto che si ha con l’uomo (l’io pensante), d’inamovibilità dell’una (Teologia, che c’è e non può non esserci, necessaria ed ineliminabile), e rifiutabilità dell’altra (Religione, credo, fede, che si sostanzia solo nella fiducia, nell’atto del credere, senza basi tangibili e fisiche (se non i miracoli), e consistente nel concepire Dio come principio e fine del Tutto, ordine superiore, coincidente con esso: opinabile, e ne è dimostrazione la moltitudine di religioni sparse per il mondo, assieme alle terribili guerre religiose).
L’elemento “Dio”, per tale trattazione, fa riferimento a ciò che Fichte aveva illustrato su i due possibili sistemi filosofici (quindi visioni esterne), del dogmatismo e dell’idealismo. Nella “Prima introduzione alla dottrina della scienza” (1797), Johann Fichte affermò che idealismo e dogmatismo sono gli unici due sistemi filosofici possibili: la scelta del filosofo consta nel sacrificare l’autonomia dell’io a quella della cosa, scegliendo come sistema il dogmatismo, o viceversa se la scelta cade sull’idealismo. La spiegazione sta nel fatto che l’idealismo consiste nel partire dall’io pensante, o soggetto, per poi spiegare, su questa base, la cosa od oggetto; viceversa il dogmatismo consiste nel partire dalla cosa in sé (Dio), od oggetto, per poi spiegare su questa base, l’io pensante o soggetto.
L’imperfezione di Fichte sta nell’unificare in un unico senso il concetto di cosa (oggetto, sostanza, materia, natura) e di cosa in sé (Dio). Da Kant ereditiamo le definizioni di fenomeno e noumeno, dove il fenomeno è ciò che è presente all’interno delle coordinate spazio-temporali, a cui sono applicabili le scienze matematiche e fisiche e le dodici categorie; il noumeno è ciò che si trova al di fuori di tali coordinate, che è semplicemente pensabile, ma non conoscibile poiché non presente nel palcoscenico fenomenico dove la coscienza dell’io-penso fa da spettatrice. E dal momento in cui nel fenomenico agisce l’oggetto o la cosa, e nel noumenico agisce Dio o la cosa in sé, non è permissibile confondere palcoscenico con il “dietro-le-quinte”, materia sensibile con idea pensabile, oggetto con concetto, sostanza e Dio.
Lo stesso Fichte si accorge che questa interpretazione non soddisfa pienamente, non attribuendo a nessuno di questi due sistemi la capacità di confutare l’altro sistema, in quanto non si può fare a meno di presupporre, fin dall’inizio, il valore del proprio principio (l’io o la cosa in sé).
Questa confusione di Fichte è riscontrabile anche nella sua dottrina morale, in cui andando a sostituire alla “postulazione kantiana di un Dio al fine morale” un non-io come ostacolo da superare, facendosi forte dell’insegnamento del filosofo di Konigsberg, il quale asseriva che non c’è attività morale laddove non ci sia una sforzo (streben); e non c’è uno sforzo laddove non ci sia un ostacolo da vincere. Tale ostacolo è quindi per Fichte il non-io, nell’accezione materiale tralasciando il divino. Una tesi più accettabile ma non del tutto corretta sarebbe quella di rinchiudere nel non-io tutto ciò che non sia io, quindi Natura e Dio (anche se Fichte era ateo).
Il sistema filosofico del dogmatismo comprende anche il platonismo, ogni forma di religione monoteista, etc; quindi all’elemento “Dio” non può che aggiungersi il “mondo delle idee” platonico, o il “noumeno” di Kant, il paradiso, il creazionismo, il Dio cristiano, Jahvè, Elohim, Eloha, JHWH, Geova, Jahweh, Adonai, etc.
Dio, come elemento della articolazione triadica hegeliana è energia pura, idea, concetto, logica, ragione, razionalità reale, che confluisce nel mondo (la Natura) e nello spirito (L’Uomo) come un alito di vita.
Il secondo elemento della trattazione è la Natura: ha la sua “visione interna”, una sua scienza precisa articolata in ogni aspetto e modo, dalla fisica alla matematica, dalla medicina alla biologia, dalla scienze della terra all’astronomia, in sintesi le Scienze con la “s” maiuscola. La “visione esterna”, quella che vuole attribuire alla Natura una forza creatrice a se per l’esistenza dell’uomo ed indirettamente di Dio, è il naturalismo spinoziano. Non può che aggiungersi ad esso il materialismo, il meccanicismo, l’evoluzionismo, l’illuminismo, e tutti quei pensieri “illuminati” che vedono nella natura il principio e la fine di tutto, la fragilità dell’uomo, ed il suo rinchiudersi nella religione come riparo e rifugio.
L’elemento “Dio”, per tale trattazione, fa riferimento a ciò che Schelling aveva illustrato su i due possibili sistemi filosofici (quindi visioni esterne), del naturalismo spinoziano e dell’idealismo fichtiano: il naturalismo spinoziano, che è diretto a mostrare come la natura si risolva nello spirito; l’altro, l’idealismo fichtiano, diretto a mostrare come lo spirito si risolva nella natura.
Più cauto di Fichte, Schelling si accorge già da subito che una pura attività soggettiva (l’io di Fichte) non potrebbe spiegare la nascita del mondo naturale, e che un principio puramente oggettivo (la sostanza Spinoziana) non riuscirebbe a spiegare l’origine dell’intelligenza e dell’io.
Schelling giunge alla conclusione che il principio supremo dev’essere quindi un assoluto o Dio che sia insieme soggetto e oggetto, ragione e natura; ciò che sia l’unità, l’identità o l’indifferenza di entrambi, aggiungendo che l’io o lo spirito è la stessa natura conscia, e viceversa la natura non è che lo spirito inconscio.
Esiste quindi un “anima del mondo” che è la stessa “intelligenza auto creatrice” che nella natura si manifesta come conato fallito di una riflessione a se medesima, e che nell’uomo invece dopo un “odissea” dello spirito torna presso di sé.
Qui sorge lo stesso problema strutturale che era sorto per Fichte, poiché a differenza del primo riconosce che l’io non può spiegare la cosa, e viceversa, ma pone soggetto ed oggetto identici nel concetto di Assoluto o Dio, quindi supponendo un dogmatismo di base.
A questo punto come viene identificata “l’intelligenza auto-creatrice”o Assoluto o Dio? O per meglio dire, abilmente elusa dal filosofo, la cosa in sé?
Poiché dicendo che se tutto consta nell’io si parla di idealismo in senso stretto o Fichtiano, se tutto consta nella cosa si parla di naturalismo spinoziano, e se tutto consta in un Assoluto o Dio si parla di dogmatismo.
Mettendo momentaneamente da parte la risoluzione della natura nello spirito, e dello spirito nella natura, mossa da Schelling, ci troviamo davanti a tre sistemi filosofici: uno in comune tra Fichte e Schelling (l’idealismo in senso stretto), uno enunciato da Spinoza e ripreso da Schelling (naturalismo), ed uno intuito da Fichte ma che meglio si rifà a filosofie classiche greche e medievali cristiane (platonismo e dogmatismo).

martedì 15 giugno 2010

Articolazione triadica sul tema dell’Amore

Se volessimo applicare il sistema hegeliano dell’articolazione triadica al tema dell’Amore, individuando tesi, antitesi e sintesi, non potremmo prescindere dall’Idea, dalla Natura e dallo Spirito.
Ponendo l’idea di Amore come concetto astratto con le sue caratteristiche in luogo di tesi, avremmo, in luogo di antitesi, la sua materializzazione concreta e naturale,  che nell’uomo si manifesta attraverso “l’Eros”: il rapporto che conduce alla congiunzione tra i due amanti ed al risultato fisico della unione che consiste nel figlio, il risultato che sigilla e rappresenta la congiunzione, al di là dell’eventuale separazione degli amanti; in luogo di sintesi, avendo “Amore” ed “Eros” rispettivamente Idea e Natura, non potrebbe che essere il “Sentimento” la sintesi coprendo la posizione di Spirito.
Non vi è nulla che non direbbe lo stesso G. W. F. Hegel nel attribuire il concetto d’Amore ad una idea pura, l’Eros alla sua manifestazione naturale e dispiegamento nella fisicità dei corpi, il Sentimento alla cristallizzazione spirituale, e la conseguente purificazione ideale nello stesso concetto astratto.
Quindi ciò che è presente nella coscienza umana è il Sentimento dell’Amore, ciò che può essere provato nei confronti del partner a livello mentale ed esprimibile solo mediante il dialogo, il mezzo con il quale l’uno incontra l’altro (Secondo il principio dell’agire comunicativo di Habermas).
L’Eros, come sappiamo, si esprime nella fisicità del rapporto, nella congiunzione dei corpi e nella esaltazione della carne; il piano su cui ci si trova adesso non può che essere la realizzazione delle spinte irrazionali ed inconsce dell’Es (Così come ci insegna la scuola Freudiana), in netta contrapposizione della coscienza e della razionalità dello Spirito e del Sentimento.
Ma se l’Amore, l’Eros, ed il Sentimento (positivo) sono rappresentazione del “Desiderio dell’altro”, l’esatto contrario non può che essere la “Repulsione dell’altro”; quindi anche sull’opposto del “Desiderio dell’altro” è possibile costruire la relativa articolazione: sarebbe in questo caso l’Odio posto in luogo di tesi, in quanto idea pura ed astratta; sarebbe “Thanatos”, la violenza fisica, in luogo di antitesi consistente nella materializzazione dell’idea pura, e metodo coattivo; sarebbe in fine la “Minaccia” (Secondo il principio dell’agire strumentale) la sintesi tra “Odio” e “Thanatos”, la quale sia cristallizzazione dell’antitesi, e passo precedente alla tesi pura.
Il “Thanatos”, come sappiamo, si esprime nella fisicità del rapporto, nello scontro dei corpi, e nella distruzione della carne; il piano è lo stesso che per l’Eros: l’Es.
La “Minaccia”, che esclude il contatto fisico, è il mezzo con il quale lo Spirito manifesta la repulsione: il mezzo è il messaggio.
A questo punto è breve il passo a concepire una sovrarticolazione triadica che veda tesi l’Amore, antitesi l’Odio, e sintesi la Passione. Il perché si spiega facilmente.
Consideriamo la “Passione” come concetto astratto al di là di desiderio e di repulsione; è “energia neutra”. La sua materializzazione, quindi la sua antitesi, è “l’Azione”, anch’essa neutra, e considerata in questa accezione del termine; e così anche neutra è la sua sintesi: “Potenza”, che è lo stato dello Spirito conscio del saper muovere l’altro.

Questa sovrarticolazione rappresenta i possibili rapporti tra un individuo ed un altro, ma il discorso non finirebbe qui, in quanto tutte le idee, tutti i concetti, tutta la realtà, in quanto ragione, sono concettualizzabili e schematizzabili nella triadicità dell’articolazione, e quindi l’Amore non è che un momento della realtà razionale o della ragione reale che, come una matrice, riempie il Tutto.

sabato 12 giugno 2010

Fenomenico, Lenti azzurre e Percezione.

Immanuel Kant sosteneva che la realtà è fatta congiuntamente da Fenomenico e Noumenico: tutto ciò che è tangibile: può essere misurato, contato, pesato, quantificato, toccato, giudicato, ed è all'interno delle coordinate assolute di spazio e tempo, immanente, fisico, materiale; e tutto ciò che può essere pensato ma non conosciuto: ipotizzato, teorizzato, al di là di spazio e tempo, il trascendentale, metafisico, l'ideale, il divino.
L'uomo, in quanto essere sensibile, è capace di percepire la realtà, ma purtroppo non nella sua interezza: la ragione, la matematica, la fisica, la misura, non si possono spingere oltre il fenomenico; per il noumenico invece l'uomo non può adoperare più che l'intuizione e, nei casi di credenza, la fede.
La percezione dell'uomo però è filtrata da lenti azzurre che distorcono la realtà: una distorsione che però nelle parole di Kant non lascia intendere se si tratti di quantitativa o qualitativa della realtà.
La domanda che sorge spontanea è pertanto: l'uomo vede tutto e male, oppure vede parzialmente ma bene?
L'ipotesi che l'uomo veda tutto e bene è esclusa poiché altrimenti o il discorso di Kant è errato, o la realtà è fatta solo dal fenomenico (soluzioni entrambe care al nichilismo, ma incompatibili con la nostra trattazione). 
Quindi, tornando la discorso di prima, le lenti azzurre o ci ostruiscono parzialmente la vista, o ce l'annebbiano.
Questa nuova soluzione non fa altro che giungere alla rielaborazione del fenomenico: non più esteso tra due dimensioni (Spazio e Tempo), ma tre, dove il nuovo asse sarebbe la Percezione.
Il fenomenico non avrebbe motivo di essere senza l'uomo, in quanto nessun uomo potrebbe vedere, toccare, e pensare il fenomeno, quindi solo con l'uomo il fenomenico esiste, ma proprio perché vi è la Percezione, in quanto senza Percezione l'uomo non sarebbe uomo, anzi, non esisterebbe neppure l'uomo.
Quindi l'uomo è per il fenomeno solo Percezione, e solo la Percezione è la lettura, il mezzo per sentire il fenomeno: si tratta del rapporto tra uomo (o "io") e fenomeno (o "natura").
Il fenomenico sta dunque entro tre dimensioni, tre assi (x,y,z) che divengono Tempo, Spazio, Percezione.
Ma a questo punto il passo è breve a porre l'intera realtà (e non solo il fenomenico) in questo sistema a tre dimensioni, congiungendo fenomenico e noumenico. Si deduce che in assenza di Percezione (e quindi d'uomo) sarebbe tutto noumeno (in quanto Spazio e Tempo sono infiniti), quindi essendo la Percezione l'uomo, questi legge solo ciò che percepisce.
La storia ci ha dimostrato come l'asse della Percezione (si badi: finita e proporzionale alla ragione dell'uomo) abbia amplificato la sua portata in modo progressivo.
Quindi la Percezione tende a progredire in modo tale da trasferire dal metafisico al fisico quelle intuizioni che divengono fenomeno: al fulmine viene tolta l'etichetta di "metafisico" e la si sostituisce con quella di "fisico", e così via per qualsiasi cosa che resta all'uomo inspiegata... adesso!
Il Noumeno, ciò verso il quale si può credere solo mediante intuizione o fede, è ciò verso cui la Percezione non giunge. All'infinito l'uomo conoscerà il Noumeno che, attenzione, non sarà più tale, ma diverrà fenomeno. L'uomo, è in potenza, percezione finita ma in divenire tendente all'infinito. Non si può dire quindi che la realtà corrisponda solo con il Fenomenico, e quindi con la Percezione in quanto l'uomo non giunge oltre questa (come l'esempio sopra), ma la realtà comprende tutto, pure il Noumeno, che l'uomo, nel suo cammino verso la conoscenza, tramuterà in fenomeno.
Un tentativo di leggere il Noumeno in chiave fisica è stato fatto dall'Antroposofia di Steiner, cercando di unire Spirito e Scienza.

lunedì 29 marzo 2010

Filosofia della Musica

Graziano D'Urso
Il ligamen tra filosofia e musica è stretto a tal punto da figurare l'una il mezzo dell'altra per spiegare la natura; natura che è anche quella dell'uomo. La musica è, come tutte le altre arti, un mezzo di espressione non già dell'uomo, ma di quella Energia che tutto muove e tutto è. C'è chi la chiama Dio, c'è chi la chiama Idea, c'è chi la chiama Assoluto, c'è chi la chiama Noumeno, e così viaQuesta Energia si manifesta nella natura, in tutto il creato, con un'autocoscienza di sé  medesima che varia al variare di chi osserva, in quanto ci sono tanti mondi, e quindi nature, quante sono le interpretazioni di essi. L'interpretazione è coscienza, è natura conscia, che nell'uomo trova la sua massima espressione. Quindi la musica è espressione conscia di quella Energia manifesta, a più sfumature, nella natura. E se tutto è Energia, e la musica è manifestazione di questa, allora la musica è presente in tutta la natura, come tutte le altre arti, sopita, e solo quindi con la speculazione filosofica che si intende la musica come tale, e diviene mezzo per spiegare questo fenomeno. Qui interviene la missione del dotto fichtiana che consta nell'estrapolare, far venir fuori, la musica dalla natura coscia, che è l'uomo; e più il dotto è tale, più la musica si può estrapolare dall'uomo come la statua michelangiolesca dal crudo marmo.
Per la sua dolce o cruenta espressività, per la capacità di istruire e far provare emozioni, per la sua importanza ed imponenza, la musica è stata da sempre considerata arte e dono naturale.
Annoverata tra le Muse col nome di Euterpe, la musica è la massima espressione artistica tramandataci dall’antichità. Arte che abbraccia sublimemente le più alte speculazioni umane dal campo scientifico a quello umanistico, da quello religioso a quello propagandistico. Studiata come scienza, fruita come arte, prodotta come opera. Questa ha la capacità di entrare all’interno dell’animo umano avvolgendo in un turbine di passione e disinibizione i sentimenti ed i pensieri. 


Filosofia Moderna
Nella filosofia moderna la musica viene presa in considerazione nel Romanticismo, con particolare attenzione nell’Idealismo, e nel Pessimismo. 
I principali filosofi che trattano arte nell’accezione musicale sono:

Immanuel Kant (1724 – 1804)
La musica senza testo coglie, senza alcun concetto, la “bellezza libera”, che è giudizio estetico puro, quindi universale. Questa viene identificata come bello artistico, poiché ha l’apparenza o la spontaneità della natura.
Questa spontaneità proviene dal genio, che per usare le parole del filosofo di Königsberg: “E’ talento (dono naturale), che dà la regola all’arte. Poiché il talento, come facoltà produttrice innata dell’artista, appartiene anche alla natura, ci si potrebbe esprimere anche così: il genio è la disposizione innata dell’animo (ingenium) per mezzo della quale la natura da la regola dell’arte.” – Critica del Giudizio.
Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1775 – 1854)
L’arte è l’attività nella quale si armonizzano completamente spirito e natura, è la sintesi di un momento inconscio o spontaneo (l’ispirazione) e di un momento conscio e mediato (l’esecuzione cosciente), che rappresenta la miglior chiave per intendere la struttura dell’Assoluto: “L’arte è per il filosofo quanto vi ha di più alto, poiché essa gli apre quasi il santuario, dove in eterna ed originaria unione arde come in una fiamma quello che nella natura e nella storia è separato.” – Sistema dell’idealismo trascendentale.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 - 1831)
L’arte rappresenta il primo passo attraverso cui lo spirito assoluto acquista coscienza di se medesimo, in quanto, tramite essa, l’uomo acquista consapevolezza di sé o di situazioni che lo riguardano mediante forme sensibili come la musica, le parole, le figure ecc. La musica conosce l’Assoluto nella forma dell’intuizione sensibile. – L’enciclopedia delle scienze filosofiche.

Arthur Schopenhauer (1788 – 1860)
La musica, oltre ad essere una via di liberazione dal dolore, si pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa. Si configura come l’arte più profonda e universale e come una vera e propria “metafisica di suoni”, capace di metterci a contatto con le radici stesse della vita e dell’essere. Non è una via per uscire dalla vita, ma solo un conforto alla vita stessa. – Il mondo come volontà e rappresentazione.
Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844 – 1900)
La musica nasce da un'identificazione totale dell'artista con "l'uno originario, col suo dolore e la sua contraddizione"; il prodotto di quest'identificazione è puro, non riducibile a concetti ed immagini: “La musica mai può diventare mezzo al servizio del testo, ma in ogni caso supera il testo; diventa dunque sicuramente cattiva musica se il compositore spezza in se medesimo ogni forza dionisiaca che in lui prende corpo, per gettare uno sguardo pieno d'ansia sulle parole e sui gesti delle sue marionette.” – Musica e parole.





martedì 11 agosto 2009

L'idealismo nei suoi tre massimi sistemi

Prefazione
In questo mio breve scritto, voglio delineare la genesi della struttura dialettica dell’articolazione triadica elevata ai suoi massimi livelli con Georg Hegel, che elaborando il pensiero e sintetizzando i sistemi dei suoi predecessori, portò all’apice della razionalità l’intero idealismo.
Con ciò non voglio descrivere i caratteri dell’idealismo o delle sue sfumature interne, ma voglio spiegare come è nata l’articolazione triadica, e come divenne manifesto stesso dell’idealismo assoluto.
E’ quindi innegabile il merito al filosofo di Stoccarda, non di aver creato una filosofia giustificatrice della religione e prostituta del sistema (come malignamente la considerò Ludwing Feuerbach), ma di aver raccolto l’intero pensiero idealista che va da Immanuel Kant, come profeta e predecessore di questa corrente, a Fichte, a Schelling, senza precludere ai pensieri di altri due grandi della speculazione filosofica quali Platone e Spinoza.
Sta quindi nell’Aufhebung hegeliano il segreto della dialettica articolazione copertina dell’idealismo, non semplice pensiero di questo filosofo, ma sunto del pensiero di giganti sulle cui spalle si è poggiato lo stesso Georg Hegel per formulare il suo pensiero, non senza correggere alcune imperfezioni interpretative dei suoi predecessori.
Egli stesso pose nella sua articolazione triadica l’idealismo di Fichte come tesi, quello di Schelling come antitesi, ed il proprio come sinstesi, anche se la reale atricolazione triadica vuole abbracciare altri tre elementi: i tre massimi sistemi filosofici, che sebbene ispirati da Fichte e Schelling, hanno radici ben più profonde.
Quindi chiunque abbia criticato Hegel per la sua dialettica, ha così criticato pure Kant, Fichte, Schelling.



I tre massimi sistemi
I sistemi di Fichte
Nella “Prima introduzione alla dottrina della scienza” (1797), Johann Fichte affermò che idealismo e dogmatismo sono gli unici due sistemi filosofici possibili, quindi la scelta del filosofo consta nel sacrificare l’autonomia dell’io a quella della cosa (dogmatismo) o viceversa (idealismo), poiché l’idealismo consiste nel partire dall’io, o dal soggetto, per poi spiegare, su questa base, la cosa o l’oggetto; viceversa il dogmatismo consiste nel partire dalla cosa in sé, o dall’oggetto, per poi spiegare su questa base, l’io o il soggetto.
L’imperfezione di Fichte sta nell’unificare in un unico senso il concetto di cosa e di cosa in sé, poiché si riferisce a quest’ultima come oggetto. Da Kant ereditiamo le definizioni di fenomeno e noumeno, dove il fenomeno è ciò che è presente all’interno delle coordinate spazio-temporali, a cui sono applicabili le scienze matematiche e fisiche e le dodici categorie; il noumeno è ciò che si trova al di fuori di tali coordinate, che è semplicemente pensabile, ma non conoscibile poiché non presente nel palcoscenico fenomenico dove la coscienza dell’io-penso fa da spettatrice. E dal momento in cui nel fenomenico agisce l’oggetto o la cosa, e nel noumenico agisce Dio o la cosa in sé, non è permissibile confondere palcoscenico con il dietro-le-quinte, materia sensibile con idea pensabile, oggetto con concetto.
Lo stesso Fichte si accorge che questa interpretazione non soddisfa e non è sufficiente poiché nessuno di questi due sistemi riesce a confutare direttamente quello opposto, in quanto non può fare a meno di presupporre, fin dall’inizio il valore del proprio principio (l’io o la cosa in sé).
Questa confusione di Fichte è riscontrabile anche nella sua dottrina morale, in cui andando a sostituire alla “postulazione kantiana di un Dio al fine morale” un non-io come ostacolo da superare, facendosi forte dell’insegnamento del filosofo di Konigsberg, il quale asseriva che non c’è attività morale laddove non ci sia una sforzo (streben); e non c’è uno sforzo laddove non ci sia un ostacolo da vincere. Tale ostacolo è quindi per Fichte il non-io, nell’accezione materiale tralasciando il divino.
E’ allora talvolta oscuro se con non-io Fichte voglia identificare la sola materia, oggetto, cosa, oppure a queste voglia sommare la cosa in sé, il noumenico, il divino, quindi racchiudere in un sol termine tutto ciò che sia diverso dall’io, quindi cosa e cosa in sé, pertanto i due sistemi filosofici di Fichte vanno rielaborati e completati, poiché peccano d’imprecisione logica, oltre che non assimilabili dalla tradizione kantiana.

I sistemi di Schelling
Distanziandosi, ma non eccessivamente, da Fichte, Friedrich Schelling ammette due possibili direzione della ricerca filosofica: l’una, il naturalismo spinoziano, che è diretto a mostrare come la natura si risolva nello spirito; l’altro, l’idealismo fichtiano, diretto a mostrare come lo spirito si risolva nella natura.
Più cauto di Fichte, egli si accorge già da subito che una pura attività soggettiva (l’io di Fichte) non potrebbe spiegare la nascita del mondo naturale, e che un principio puramente oggettivo (la sostanza Spinoziana) non riuscirebbe a spiegare l’origine dell’intelligenza e dell’io.
Schelling giunge alla conclusione che il principio supremo dev’essere quindi un assoluto o Dio che sia insieme soggetto e oggetto, ragione e natura; ciò che sia l’unità, l’identità o l’indifferenza di entrambi, aggiungendo che l’io o lo spirito è la stessa natura conscia, e viceversa la natura non è che lo spirito inconscio.
Esiste quindi un “anima del mondo” che è la stessa “intelligenza auto creatrice” che nella natura si manifesta come conato fallito di una riflessione a se medesima, e che nell’uomo invece dopo un “odissea” dello spirito torna presso di sé.
Qui sorge lo stesso problema strutturale che era sorto per Fichte, poiché a differenza del primo riconosce che l’io non può spiegare la cosa, e viceversa, ma pone soggetto ed oggetto identici nel concetto di Assoluto o Dio, quindi supponendo un dogmatismo di base.
A questo punto come viene identificata “l’intelligenza auto-creatrice”o Assoluto o Dio? O per meglio dire, abilmente elusa dal filosofo, la cosa in sé?
Poiché dicendo che se tutto consta nell’io si parla di idealismo in senso stretto o Fichtiano, se tutto consta nella cosa si parla di naturalismo sostanziale o spinoziamo, e se tutto consta in un Assoluto o Dio si parla di dogmatismo.
Mettendo momentaneamente da parte la risoluzione della natura nello spirito, e dello spirito nella natura, mossa da Schelling, ci troviamo davanti a tre sistemi filosofici: uno in comune tra Fichte e Schelling (l’idealismo in senso stretto), uno enunciato da Spinoza e ripreso da Schelling (naturalismo), ed uno intuito da Fichte ma che meglio si rifà a filosofie classiche greche e medievali cristiane (platonismo e dogmatismo).



Gli elementi di Kant
Abbiamo riscontrato così un gruppo di sistemi adesso completato dalla coniugazione di Fichte, Schelling e la filosofia classica dove troviano:
 l’idealismo che muove dall’io o dallo spirito per spiegare la cosa e la cosa in sé;
 Il naturalismo che muove dalla cosa o dalla natura per spiegare l’io e la cosa in sé;
 Il dogmatismo che muove dalla cosa in sé o Dio per spiegare la cosa e l’io.
Immanuel Kant, nella sua filosofia in generale, e nella “Critica della Ragion pura” (1781) nello specifico, individua gli elementi della conoscenza e della speculazione dell’uomo.
Pone come osservatore della realtà, autocoscienza, legislatore della natura, filosofo razionale l’io-penso. Pone come ambito in cui l’io-penso conosce tramite le scienze matematiche e fisiche, le coordinate spazio-temporali il fenomenico, e altresì il luogo fuori da tali coordinate dove la ragione umana non può più agire e giudicare, pensabile ma non conoscibile, il noumenenico.
Questi tre elementi sono i cardini della sua filosofia, poiché su questi si basa la sua speculazione, e adesso diverranno le fondamenta della nostra.
Poniamo in associazione all’io-penso kantiano tutti quei sinonimi fin’ora riscontrati, come: io, io finito, spirito, uomo, soggetto, anima, etc, elementi dell’idealismo.
Poniamo al fenomenico kantiano tutti quei sinonimi fin’ora riscontrati, come: natura, sostanza, materia, oggetto, cosa, etc, elementi del naturalismo.
Poniamo in fine al noumenico kantiano tutti quei sinonimi fin’ora riscontrati, come: Dio, Assoluto, Concetto, Dogma, cosa in sé, idea, etc, elementi del dogmatismo.
Abbiamo trovato così già a partire da Kant gli elementi costitutivi dei tre massimi sistemi distillati dal pensiero di questi filosofi, successivi allo stesso Kant.
Queste solide basi ci portano adesso a formulare, seguendo maggiormente l’esempio di Schelling che quello di Fichte, una concezione filosofica basata su tre sistemi, quali: idealismo, naturalismo e dogmatismo.
Ma come facciamo a capire qual è il sistema reale, quale fra questi non è fallace, quale di questi è il reale sistema da seguire, qual è più veritiero, quale ha più solide basi razionali e logiche, chi in vero è l’orologiaio di tutto: l’Uomo, la Natura o Dio?
La risposta sta nella coniugazione di questi tre massimi sistemi: con l’Articolazione triadica.

L’articolazione triadica
Adesso raccogliamo tutti gli elementi del dogmatismo, per semplicità, in un unico termine: Idea (riferendoci al noumenico, al mondo delle idee, all’astrattismo, al trascendente); allo stesso modo raccogliamo tutti gli elementi del naturalismo in un unico termine: Natura; e così anche per l’idealismo: Spirito.



Una volta raccolti in tre elementi sintetizzati nei nostri tre massimi sistemi possiamo ben riconoscere l’articolazione triadica che Hegel aveva costituito per il suo pensiero filosofico, che attraverso la dialettica e l’aufhebung faceva divenire l’uno nell’altro secondo lo schema di Tesi, Antitesi e Sintesi.

Riscontriamo come Hegel volesse far divenire questi tre sistemi in modo dinamico e connesso, scrivendo per l’appunto componimenti per i diversi elementi rispettivamente: Logica per l’idea; Filosofia della natura per la Natura; Filosofia dello spirito per lo Spirito.
Ma a questo punto notiamo un particolare interessante che ad un occhio vigile e preparato non può sfuggire, riscontrabile dai rapporti tra questi elementi: il rapporto che intercorre tra Idea e Natura, cosa in sé e cosa, concetto ed oggetto, noumeno e fenomeno, trascendente ed immanente, non sono che la conoscenza, gli ambiti dove il agisce il pensiero umano, pensandoli entrambi ma conoscendone solo uno, il fenomenico; il rapporto che intercorre tra Spirito e Idea, tra l’io-penso e Dio, tra l’io ed il noumeno, tra l’essere pensante ed il dogma non è che la morale, poiché l’uomo agisce in funzione di un bene che è riscontrabile non sulla terra (stoici ed epicurei) bensì nel trascendente, in Dio, nel noumeno, nell’aldilà; il rapporto che intercorre tra Spirito e Natura, tra l’io-penso e la cosa, tra il soggetto e l’oggetto, tra l’uomo ed il mondo non è che il giudizio, il sentimento, la sensazione più o meno piacevole, bella, sublime. A questo punto notiamo come Immanuel Kant aveva profetizzato questa articolazione andando ad interporre tra gli scritti “ad hoc” composti da Hegel, gli scritti di rapporto fra tali elementi che sono rispettivamente: La Critica della Ragion Pura per il pensiero e la conoscenza, La Critica della Ragion Pratica per la morale, e la Critica del Giudizio per il giudizio ad il sentimento.



Notiamo come alcuni pensatori si siano posti precisamente in determinati sistemi: Fichte (Idealismo), Spinoza (Naturalismo), Platone a padri della chiesa (Dogmatismo). Alcuni si siamo interposti tra due sistemi, ed il nostro caso più rilevante è Schelling (tra Idealismo fichtiano e Naturalismo spinoziano). E notiamo come Kant non abbia preso posizione, ma si sia limitato a descriverne i rapporti, e come Hegel abbia difeso la sua struttura triadica definendone ogni suo elemento costitutivo.

Conclusioni

Immanuel Kant non poteva conoscere, per questioni cronologiche, il pensiero hegeliano, ma nonostante ciò il suo pensiero è perfettamente intersecante con quello hegeliano.
Georg Hegel forgiò tutta la sua speculazione sull’articolazione triadica, e come aveva anticipato Schelling, pose quest’energia propulsiva di “anima del mondo” potenza auto-creatrice nell’idea concreta e penetrante nella realtà come verità razionale, idea poi dispiegantesi nel fenomenico costituendolo e dandogli una forma, delle qualità, delle quantità, delle relazioni, ma non una coscienza, che solo con la concretizzazione della natura nell’uomo poteva rivelarsi a se stessa divenendo autocoscienza, e una volta che tale avesse compreso tutto questo divenire (panta rei), abbia costituito infine con Hegel l’articolazione triadica.
Non è difficile intravedere tra questa struttura dinamica la stessa Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo, un Idea pura (Dio) che si dispiega nella natura (Cristo), e da essa si concretizza nello spirito dell’uomo (Spirito Santo), che fosse intenzionale o meno dal filosofo di Stoccarda, per giustificare razionalmente la presenza del divino della religione cristiana.
In ogni caso, la critica mossa su questa articolazione hegeliana, non è che una critica mossa all’intero idealismo, poiché l’atto di Hegel non è stato che di togliere e conservare (Aufhebung), di raccogliere tutto il pensiero precedente, profetizzato da Kant, esplicitato da Fichte, elaborato da Schelling e concluso da egli stesso.
Non è un caso che filosofi successivi all’idealismo fossero rimasti influenzati in modo conscio o meno da questo processo dinamico; basti pensare all’interpretazione del noumeno di Schopenhauer, come rivelazione della volontà di vivere a se stessa, che da mistero avvolto dal velo di Maya si fa riscontrabile all’uomo e nell’uomo.

lunedì 26 gennaio 2009

LETTERATURA E POESIA NELLA STORIA E NELL’UOMO (saggio breve)

Per la sua dolce o cruenta espressività, per la capacità di istruire o far provare emozioni, per la sua importanza ed imponenza, la poesia è stata da sempre considerata arte e dono naturale.
Annoverata tra le Muse col nome di Calliope, la poesia è la massima espressione letteraria tramandataci dall’antica Grecia.


Il numero delle muse e il campo dell'arte in cui esse agivano venne precisato intorno al IV secolo a.C. I loro nomi erano:



Calliope, dalla bella voce, la Poesia epica, con una tavoletta ed un libro;
Clio, colei che rende celebri, la Storia, seduta e con una pergamena in mano;
Erato, che provoca desiderio, la Poesia amorosa, con la lira;
Euterpe, colei che rallegra, la Poesia lirica, con un flauto;
Melpomene, colei che canta, la Tragedia, con una maschera, una spada ed il bastone di Eracle;
Polimnia, dai molti inni, il Mimo, senza alcun oggetto;
Talia, festiva, la Commedia, con una maschera, una ghirlanda d'edera ed un bastone;
Tersicore, che si diletta della danza, la Danza, con plettro e lira;
Urania, la celeste, l'Astronomia, con un bastone puntato al cielo.


E proprio dall’ambiente greco che Petronio vuole trarre esempio e paragone contro l’oratoria dei retori del Foro romano, dove “i ragazzi delle scuole li ascoltano, si incretiniscono, perché nelle loro chiacchiere non trovano niente di attuale […]”. – Petronio Satiricon.
La retorica non istruisce, non produce sapienza, a differenza di poesia e filosofia, come Petronio, elogiando altrimenti Sofocle Euripide, Platone e Demostene.
Con Johan Fichte si avrà più tardi la “missione del dotto” che richiama le parole dell’autore latino concentrando la capacità ed il dovere in modo esclusivo del dotto all’istruzione della comunità.
Anche Foscolo, nell’Orazione “ Dell’origine e dell’uffizio della letteratura” pone le origini della poesia nella natura, come un sentimento innato, come un germe che è nell’uomo, e che nel letterato fiorisce in tutta la sua magnificenza , nutrita “dall’esperienza delle passioni” , calata nell’ambiente e nel periodo del letterato, aggiungendo che “nessuno mai di università o accademia, niuno principe oserà mai fare cadere le lettere nell’abbiezione”.
La letteratura, e la poesia sono sempre presenti come parti non integranti bensì indispensabili dell’istruzione e della cultura.
Alessandro Manzoni, nella lettera a Marco Coen, dà un’interpretazione non meno originale della letteratura, affermando che “non è gioco né ozio, non è vana ambizione, ma è l’arte di dire, cioè di pensare bene, di rinvenire col mezzo del linguaggio ciò che è di più efficace […]”, mettendo in luce l’importanza del “pensiero concreto” ( adesso cattedra all’Università San Raffaele di Milano), e pronuncia le parole di Foscolo nell’esporre che “questa letteratura si apprende non dai libri soltanto ma dalla conoscenza degli uomini e delle cose”, facendo una distinzione tra manuale ed esperienza sensibile, tra ragione esentimento, così da interpretare una delle massime di Blaise Pascal: “ l’Esprit de geometrie non è sufficiente per comprendere la realtà”, affiancando al manuale il sentimento e la speculazione che sono propri dell’uomo. L’evoluzione della letteratura ha portato infine al giornalismo, vera fonte d’informazione mondiale, che si pone di pubblicare il vero ed il necessario, tema del Verismo che in Manzoni vede un precursore, ed in Giovanni Verga il maggiore esponente. L’ordine dei giornalisti si propone di rispettare una serie di norme deontologiche che fanno capo a leggi legate alla privacy quali: RESPONSABILITA’ (di ciò che viene detto, scritto e pubblicato), RETTIFICA E REPLICA ( possibilità di replica da parte dell’interessato), PRESUNZIONE D’INNOCENZA ( Habeas Corpus: la presa di posizione neutrale del giornale prima del verdetto), INCOMPATIBILITA’ ( se un argomento può o meno essere pubblicato), MINORI E SOGGETTI DEBOLI ( rispetto e antiaccanimento nei confronti di chi ha scarse possibilità di difesa), fondamentalmente leggi del rispetto del sociale e dell’informazione, strutture di un’adeguata educazione ed istruzione.
In conclusione ciò che istruisce esiste già nell’uomo, è insito a priori nella natura, senza la necessità di inventare castelli campati per aria come la retorica e la falsa informazione. Alla base della cultura ci stà l’esperienza sensibile, il rapportarsi al sociale, l’obbiettività, la coerenza. Il filosofo, il letterato, od il giornalista non devono far altro che darne una forma adeguatamente presentabile.